mercoledì 30 giugno 2010

RISTAMPA!!!!!


Non ho fatto ancora la prima presentazione di Son Stufadiza
ma... bisogna già ristampare!!!!!!!

sabato 19 giugno 2010

COMMENTO DI STEFANO MAGNI

Stefano Magni è docente universitario presso il dipartimento di italianistica dell’Université de Provence Aix-Marseille.


Ho conosciuto Barbara. Alle volte mi ha parlato della sua situazione familiare. Ma mai come ora mi ha fatto capire tanto della sua esperienza. Leggendo le sue poesie mi sono reso conto della forza della sua poesia, di come la poesia sia uno strumento semiotico di un’efficacia straordinaria. Certo, perché nessun racconto fatto al bar, nessuna parola al telefono sono mai riusciti a dirmi quello che l’arte di Barbara mi ha detto con la poesia. Lo so che al centro del libro c’è la malattia mentale, ma io questa cosa la sapevo. Barbara mi aveva parlato di sua madre, per cui non vorrei, ora, fare un discorso politically correct con la mia opinione sul TSO (ho frequentato certi ambienti, saprei lanciare i miei dardi). No, da una cosa sono restato colpito, dalla poesia di Barbara. La ricchezza e la potenza delle parole, la dolcezza delle immagini. Ma com’è bello quel rincorrersi di lingua e dialetto. Barbara usa naturalmente lo strumento che le pare più opportuno, al momento più opportuno. Perché “imborezada” tocca altre corde rispetto a “euforica”, perché alle volte la preziosità dell’italiano – con le sue figure retoriche e stilistiche, e le sue reminiscenze letterarie – è più appropriata: “Caro diario affaticato e smarrito, superbo e geniale, stolto e sapiente ieri ho conosciuto la gelosia e la libertà.” La lingua è il suo uso. E Barbara lo asseconda naturalmente, riproponendo il suo quadro di vita con la sola scelta dell’idioma. Con questa scelta doppia, bipolare, che è anche doppiata dal binomio prosa-poesia, Barbara va incontro alla psicosi bipolare della madre:

“mia mama la ga la psicosi bipolare da una vita no la pol
starghe drio a nisun. La xe invalida con su scrito che la se devi riguardar”
Per mi la baba no gaveva mai sentì quela parola o solo su un manual
psicosi bipolare in bisiaco no so dir.

Ecco perché me la fa capire in poesia, questa psicosi bipolare, meglio che al bar. E comunque non la vedo più da anni, Barbara, ma fa lo stesso. È solo per essere precisi. E poi Barbara finge di essere semplice, quando gioca col dialetto, come quando dice “in bisiaco no so dir”. Eppure poche parole in bisiaco ci fanno capire meglio di qualsiasi definizione cosa sia la psicosi bipolare. Magari non a livello medico, ma cosa sia per una persona e per coloro che le stanno vicino, quello sì. E quindi, anzi, mi ravvedo, soprattutto a livello medico. Anche per questo i simboli stessi della poesia sono bipolari, come la sirena, cara immagine d’infanzia, ma che è anche quella che “ne smona col suo canto”. È perché Barbara cerca ogni modo per avvicinarsi alla madre con le sue scelte stilistico referenziali bipolari che riusciamo a capire tutto così bene. E poi, comunque, com’è bella la lettura del libro. Ma come scivola bene nelle orecchie e come resta nella mente il dialogo tra la madre e Barbara, quando parlano della sirena Farina, come si conoscono bene fatti e persone. E adesso basta, che parlo troppo, ed è meglio leggersi il libro.

lunedì 14 giugno 2010

"SON STUFADIZA" LETTO DA ILENIA MARIN

Ci sono parole che imprigionano, ti ingarbugliano pensieri ed emozioni e non ti lasciano andare finché non sono entrate dentro di te.
Questo è l'effetto che ha provocato su di me il libro di Barbara Grubissa.
In un momento come il nostro in cui l'essere sani, dritti, belli, fisicamente e mentalmente prestanti è l'unica maschera che ci è consentito indossare, lo sguardo obliquo, sghembo e "stufadizo" di Grubissa ci accompagna verso un altro mondo, forse meno appariscente, sicuramente più autentico e reale.
Quanto amore e quanta cura in queste parole, quanta vita vissuta in profondità.
Quanta poesia.

Ilenia Marin


Ilenia Marin è nata a Valdobbiadene (Tv) nel 1974. Dal 2003 è dottore di ricerca in Italianistica. I suoi interessi riguardano principalmente la memorialistica e la letteratura di viaggio. E' curatrice dei diari di Biagio Marin (La pace lontana, Gorizia, LEG, 2005), fa parte del comitato editoriale di "Studi Mariniani" e del volume Cervelli in gabbia. Disavventure e peripezie dei ricercatori in Italia edito da Avverbi nel 2005.

L'IMPORTANZA DELL'INFORMAZIONE

Quando mia madre ha iniziato a star male, ricordo, facevo fatica ad informarmi. Ero giovane
e quando a scuola parlavo di TSO nessuno sapeva di cosa stessi parlando. Anche ora mi capita...
quando parlo di questo argomento tutti mi chiedono:"che cos'è il trattamento sanitario obbligatorio?". Almeno che non stia parlando con gli addetti ai lavori o con chi ha avuto qualche esperienza similare, mi sento sola. Eppure sarebbe utile, soprattutto per un giovane che sta crescendo, venire a conoscenza di tali argomenti.
La legge attualmente, per fortuna, garantisce la tutela della salute e, se qualcuno non si rende conto di aver bisogno di cure, garantisce l'avvio di un programma terapeutico facendo riferimento alle leggi per la salute mentale. Io ho vissuto bene la condizione di mia madre, ho avuto la fortuna di essere stata educata da lei, anche se stava male, ho avuto amore. Una volta cresciuta ho superato il dramma del tso vissuto da una madre e ho recuperato con lei un rapporto magnifico, di cui serbo un ricordo fantastico. Di una cosa ho sofferto: della disinformazione. Questo non perchè i servizi sanitari non mi informassero per quanto possibile, ma perchè poi non avevo con chi confrontarmi all'esterno. Agli amici ho dovuto spiegare, a modo mio. Agli insegnanti ho dovuto raccontare, a modo mio.

martedì 1 giugno 2010

Recensione di Anna Zennaro

Ha uno sguardo acuto e sfuggente, Barbara Grubissa.
Ha la sfuggevolezza tipica di chi non vuol dare sfoggio della propria arte, ma di essa si ciba per nutrire se stesso.
Un'arte, quella della scrittura, che per l'autrice di "Son stufadiza" è stata un'arte salvifica, come piu' volte si legge nel libro. Una scrittura che le ha regalato intima pace, che ha messo in accordo le stonature della vita che il convivere con una persona malata di psicosi bipolare, necessariamente comporta.

E nei momenti di malattia, Barbara Grubissa aveva bisogno di mandare cuore e mente in vacanza, in vacanza dal male.
Aveva bisogno di un'isola nella quale approdare, per far distendere i pensieri al sole affinchè si asciugassero delle lacrime. E, una volta asciutti, si tramutassero in versi, in diario, in fiaba.

Spesso la poesia è impalpabile, incomprensibile. Le parole scaturiscono in versi nascendo da uno stato intimo e si rivolgono sempre ad altro, ad altri, a cose ed eventi che noi non conosciamo e che quindi non ci appartengono.

La poesia della Grubissa invece, pur appartenendo ad una realtà specifica, quella di chi convive con un malato di psicosi bipolare, è una poesia che si fa capire, è un urlo di dolore che non si puo’ far finta di non sentire. E’ la poesia del coraggio, quella di Barbara Grubissa, una poesia che si appiglia alla vita, che respira speranza.

E’, soprattutto, la poesia di chi sa di avere un’alternativa.

“Son stufadiza” ci insegna la valenza della libertà. La libertà di poter raccontare le cose per quel che sono e che sono state. Senza paura, senza vergogna, senza sconti.
Il suicidio di una mamma non puo’ essere raccontato a metà, bisogna partire dall’inizio, per arrivare alla fine.

E' stata una mamma intelligente e saggia, la mamma dell’autrice. Prima di morire le ha detto "racconta la mia storia", costringendo la figlia ad affrontare il suo dolore ed il suo talento per la scrittura e per la poesia, a superare l’uno tramite l’altro, cosicché malattia e cura diventassero un tuttuno, diventassero un libro, diventassero “Son stufadiza”.

Risolvono il libro, risolvono una vita e segnano quella di chi resta, i versi finali.
“Ciao picia, co’ moro buta via la scorza", a dimostrazione che nell'ottica delle cose, nell'ottica della vita, quella materiale, le gesta spesso hanno un senso difficile da comprendere o da decifrare. E probabilmente non ci sarà concesso di capire il “vero senso” ancora per tanto, tanto tempo.
Nel frattempo, però, ci è stato fatto dono di un piccolo capolavoro, un libro da avere in biblioteca e da sfogliare per dare un senso ai propri eventi, quando un senso gli eventi sembra non ne abbiano.

Un libro da tenere sempre nel cuore. Come l’amore di una mamma.


Anna Zennaro – Giornalista, Trieste

Per non dimenticare




La poesia aiuta a non perdere la visione di insieme.

E' un grande contenitore di esperienze e di dolore;
ma è anche un archivio organizzato e intelligente.


Barbara Grubissa